Breve nota a Cassazione civile, Sez. I, 29/11/2023, n. 33118
Con una recente ordinanza la Suprema Corte è tornata a pronunciarsi in tema di contabilizzazione delle opere pubbliche. La questione esaminata aveva ad oggetto l’esplicitazione delle riserve da parte dell’impresa esecutrice dei lavori di adeguamento di una linea ferroviaria, reputata tardiva dalla Committenza per non aver provveduto l'appaltatore all’iscrizione delle medesime nel primo documento contabile idoneo a riceverle (in quel caso, il libretto delle misure, non essendo stato tenuto il registro di contabilità), successivo all’insorgere dei fatti costitutivi. La Suprema Corte ha confermato la spettanza di un risarcimento in favore dell’appaltatore osservando come, negli appalti pubblici, il registro di contabilità rappresenti “solo il documento le cui pagine sono "preventivamente numerate e firmate dall'ingegnere capo e dall'appaltatore" e nel quale le singole partite siano iscritte "rigorosamente in ordine cronologico" (R.D. n. 350 del 1895, art. 52”, e che pertanto lo stesso non possa identificarsi “né con il "libretto delle misure", sul quale si annotano "la misura e la classificazione dei lavori" (R.D. n. 350 del 1895, art. 42), né con il "giornale dei lavori" di cui all'art. 40 del R.D. cit., in cui si registra settimanalmente la progressione dei lavori”. Costituendo, dunque, il registro di contabilità l’unico documento contenente una visione unitaria della realizzazione delle opere commissionate, “solo in esso si ha il dovere o l'onere di iscrivere le richieste dell'appaltatore a pena di decadenza, perché da esso soltanto è rilevabile l'incidenza che le varie vicende potranno avere sui costi dell'appalto sia per il committente sia per l'appaltatore, appaltatore che, in particolare, in esso deve iscrivere immediatamente, in applicazione delle regole di diligenza e buona fede, i fatti che può prevedersi incideranno sulla contabilità dei lavori”. Pertanto, sulla scorta dei riferiti postulati, la Suprema Corte ha concluso “che un documento a fogli scomposti non può integrare il registro neppure provvisoriamente; cosicché, in assenza del registro, l'appaltatore avrà la "facoltà" e non l'onere "all'atto della firma d'inscrivere in succinto in quei documenti contabili che devono essere da lui firmati le riserve e le domande che crederà del proprio interesse" e in tal caso "le riserve e le domande non avranno efficacia e saranno considerate come non avvenute ove non siano ripetute nel registro di contabilità nei termini e nei modi indicati nei precedenti artt. 53 e 54" (R.D. n. 350 del 1895, art. 89), una volta che lo stesso sia stato istituito”. #FocusAppalti [email protected]
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In ottemperanza alle disposizioni del nuovo Codice dei contratti pubblici (D. Lgs. n. 36/2023) e alle misure del PNRR, dal 1° gennaio 2024 ha preso ufficialmente avvio il processo di digitalizzazione degli appalti pubblici - c.d. “Ecosistema nazionale di approvvigionamento digitale (e-procurement)” - che coinvolgerà, indistintamente, tutti i contratti di appalto o concessione, di qualsiasi importo, prevedendosi l’utilizzo obbligatorio di piattaforme digitali certificate e interoperabili non solo nelle fasi propedeutiche di programmazione ma anche in quelle di esecuzione e di accesso alle informazioni e agli atti di gara.
La principale novità in vigore dal 1° gennaio 2024, osserva l'A.N.AC. (https://www.anticorruzione.it/-/dal-1%C2%B0-gennaio-appalto-pubblico-tutto-in-digitale-cosa-cambia-e-come-ci-si-deve-preparare) riguarda la gestione delle gare pubbliche, per le quali diventa obbligatorio l’utilizzo di piattaforme digitali “certificate”.; il che significa che tutte le amministrazioni non dotate di una propria piattaforma di approvvigionamento digitale, dovranno utilizzare piattaforme “certificate” messe a disposizione da altri soggetti (stazioni appaltanti, centrali di committenza, soggetti aggregatori etc..), non solo per la fase di affidamento, ma anche per tutte le altre fasi del ciclo di vita dei contratti ed in particolare l’esecuzione. Il Registro Piattaforme Certificate (RPC) è consultabile sul sito ANAC al seguente link. Obiettivo principale di tale ambizioso progetto, intrapreso sia livello nazionale sia a livello europeo, è senz’altro quello di apportare una semplificazione dei farraginosi iter burocratici che da sempre hanno contraddistinto tale settore. Come osservato dal Presidente dell’ANAC, Giuseppe Busia, “l’automazione dello scambio dei dati fra i sistemi telematici e l’utilizzo di modelli di dati condivisi creano le condizioni per un aumento dell’affidabilità delle informazioni, un miglioramento dell’efficienza del processo, una riduzione degli errori e di conseguenza dei costi e del carico amministrativo per i cittadini, le imprese e le amministrazioni. […] una Pubblica Amministrazione che acquista in modo più semplice, veloce e trasparente, snellendo le procedure, infatti, è in grado di offrire servizi migliori ai cittadini e alle imprese, con ricadute positive su tutto il sistema-Paese”. #FocusAppalti [email protected] Il Consiglio di Stato distingue i 4 modelli di soccorso istruttorio previsti dal nuovo Codice11/10/2023 Nota a Consiglio di Stato, Sez. V, 21/08/2023, n. 7870 Il Consiglio di Stato, a seguito dell’entrata in vigore del nuovo Codice dei contratti pubblici (D. lgs. n. 36/2023), è tornato a pronunciarsi in tema di soccorso istruttorio, fornendo interessanti spunti di riflessione in merito all’applicabilità dell’istituto. La vicenda afferiva ad una procedura negoziata indetta ai sensi dell’art. 63 del Codice previgente (D. lgs. n. 50/2016), per l’affidamento del servizio di digitalizzazione di fascicoli giudiziari, ibridi e cartacei, iscritti negli anni 2016-2026, di Tribunali, Corti d’Appello e Corte di Cassazione, da aggiudicare con il criterio del minor prezzo, nell’ambito del cui esame il Supremo Consesso, esaminando la più "ariosa" disciplina contenuta nel nuovo codice dei contratti pubblici (D. Lgs. n. 36/2023) ha individuato e distinto quattro tipologie di soccorso istruttorio: a) soccorso integrativo o completivo (comma 1, lettera a) dell’art. 101 d. lgs. n. 36 cit., non difforme dall’art. 83, comma 9), "che mira, in termini essenzialmente quantitativi, al recupero di carenze della c.d. documentazione amministrativa necessaria alla partecipazione alla gara (con esplicita esclusione, quindi, della documentazione inerente l’offerta, sia sotto il profilo tecnico che sotto il profilo economico), sempreché non si tratti di documenti bensì non allegati, ma acquisibili direttamente dalla stazione appaltante (in prospettiva, tramite accesso al fascicolo virtuale dell’operatore economico)"; b) soccorso sanante (comma 1 lettera b), anche qui non difforme dall’art. 83, comma 9 del d. lgs. n. 50), "che consente, in termini qualitativi, di rimediare ad omissioni, inesattezze od irregolarità della documentazione amministrativa (con il limite della irrecuperabilità di documentazione di incerta imputazione soggettiva, che varrebbe a rimettere in gioco domande inammissibili)"; c) soccorso istruttorio in senso stretto (comma 3), "che – recuperando gli spazi già progressivamente riconosciuti dalla giurisprudenza alle forme di soccorso c.d. procedimentale – abilita la stazione appaltante (o l’ente concedente) a sollecitare chiarimenti o spiegazioni sui contenuti dell'offerta tecnica e/o dell'offerta economica, finalizzati a consentirne l’esatta acquisizione e a ricercare l’effettiva volontà dell’impresa partecipante, superandone le eventuali ambiguità, a condizione di pervenire ad esiti certi circa la portata dell’impegno negoziale assunto, e fermo in ogni caso il divieto (strettamente correlato allo stringente vincolo della par condicio) di apportarvi qualunque modifica"; d) soccorso correttivo (comma 4): che, in realtà, a differenza delle altre ipotesi – rispetto alle quali "si atteggia, peraltro, a fattispecie di nuovo conio, come tale insuscettibile, almeno in principio, di applicazione retroattiva – prescinde dall’iniziativa e dall’impulso della stazione appaltante o dell’ente concedente (sicché non si tratta, a rigore, di soccorso in senso stretto), abilitando direttamente il concorrente, fino al giorno di apertura delle offerte, alla rettifica di errori che ne inficino materialmente il contenuto, fermo il duplice limite formale del rispetto dell’anonimato e sostanziale della immodificabilità contenutistica.Sotto un profilo operativo, il soccorso procede (con la evidenziata e non rilevante peculiarità del soccorso correttivo, che è oggi riconosciuto ex lege) da una (doverosa, trattandosi al solito di potere-dovere) assegnazione di un termine (ora positivamente prefigurato in misura non inferiore a cinque e non superiore a dieci giorni) entro il quale l’operatore economico può integrare o sanare (a pena di esclusione: cfr. il comma 4 dell’art. 101) la documentazione amministrativa ovvero (ma in tal caso, è il caso di soggiungere, senza automatismi espulsivi) chiarire ed illustrare, nei termini (e nei limiti) della specifica richiesta, il tenore della propria offerta". Osserva inoltre il Supremo Consesso che sono soccorribili "(purché, in tal caso, documentabili con atti di data certa, anteriore al termine di presentazione delle offerte: il che conferma che si deve trattare di una omissione meramente formale e non di una originaria carenza sostanziale): a) la mancata presentazione della garanzia provvisoria; b) l’omessa allegazione del contratto di avvalimento; b) la carenza dell'impegno al conferimento, per i concorrenti partecipanti in forma di raggruppamento costituendo, del mandato collettivo speciale". In definitiva, appare evidente un progressivo ampiamento dell’ambito del soccorso, la cui obbedisce, per vocazione generale (cfr. art. 6 l. n. 241/1990), ad una fondamentale direttiva antiformalistica che guida l’azione dei soggetti pubblici ed equiparati. All'infuori di tali specifiche ipotesi, tuttavia, il Consiglio di Stato non ha manco di ricordare che, anche in ossequio ai notori principi di parità e di autoresponsabilità dei concorrenti, sussiste il divieto di soccorso istruttorio (sia in funzione integrativa, sia in funzione sanante) degli elementi afferenti ai profili della capacità economica, tecnica e professionale richiesta per l’esecuzione delle prestazioni, contenuti anche documentalmente nelle offerte, ritenendo, di contro, ampiamente sanabili le carenze o irregolarità formali relative alla documentazione c.d. “amministrativa”. Di seguito il testo integrale della sentenza #FocusAppalti A cura dell'Avv. Valentina Schiappoli Nota a Consiglio di Stato, Sez. III, 11/07/2023, n. 6797 La vicenda sottoposta al vaglio dell’organo giudicante atteneva ad una procedura di affidamento del servizio di ristorazione in favore dei pazienti e del personale sanitario, indetta da un’Azienda Sanitaria Locale mediante l’invio di lettere di invito alle società ritenute idonee. A seguito dell’aggiudicazione della gara, era emersa per la stazione appaltante la necessità di anticipare l’esecuzione del servizio e di intervenire sulle modalità esecutive della prestazione delineate nell’offerta aggiudicataria; così, successivamente, l’operatore economico aggiudicatario provvedeva ad inoltrare alla medesima il programma stilato ai fini dell’erogazione del servizio, proponendo una variante che veniva approvata e recepita soltanto dopo la stipula del contratto mediante l’adozione di una separata delibera. La stessa delibera, ritenuta illegittima, veniva impugnata da parte della società classificatasi seconda dinanzi al Tar competente, il quale, condividendo le censure prospettate dalla medesima, accoglieva il ricorso, “ritenendo che la P.A. avrebbe modificato gli assetti posti alla base del confronto concorrenziale, con conseguente affidamento senza gara di un contratto diverso; le modifiche apportate avrebbero avuto una valenza sostanziale, non essendo riconducibili al concetto di variante di cui all’art. 106 del D. lgs. n. 50/2016”. Al contempo il primo giudice respingeva l’eccezione di difetto di giurisdizione e di inammissibilità per carenza di interesse sollevate dalla stazione appaltante e dalla controinteressata, appellanti principali nel successivo giudizio di secondo grado. In sede di appello il Supremo Consesso, all’esito delle proprie valutazioni, ha condiviso le considerazioni del giudice di primo grado, ritenendo che “la ricorrente avesse inteso far valere, nella sostanza, l’aggiramento della gara pubblica per l’affidamento diretto, da ciò conseguendo che la contestazione sulla sussistenza dei presupposti per la modifica del contratto ricade nel contenzioso sulle procedure di affidamento, di spettanza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo […]. Ne deriva che il contratto non viene in rilievo di per sé, ma in quanto, ove risultasse illegittima la modifica contrattuale disposta, verrebbe a configurarsi l’affidamento diretto in violazione dei principi di gara pubblica; ciò comporta che qualora si faccia valere (da parte di soggetto titolare di una posizione differenziata) la illegittimità del ricorso alla trattativa privata nella scelta del contraente, per contrarietà a norme che avrebbero richiesto il ricorso a procedimenti di evidenza pubblica, trattandosi della legittimità dell’esercizio del potere pubblico, la posizione del privato è di interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo”. Di seguito il testo integrale della sentenza #FocusAppalti Consiglio di Stato, Sez. IV, 7.7.2022, n. 5667. Annotiamo un interessante pronunciamento del Consiglio di Stato in merito all’istituto della revisione dei prezzi negli appalti pubblici. La vicenda aveva ad oggetto i maggiori oneri richiesti dall'appaltatore per via del forte aumento dei prezzi, circostanza che aveva indotto l'impresa a formulare riserve relative al maggiore aggravio economico subito. Il Consiglio di Stato sull'argomento si è espresso fornendo i seguenti chiarimenti. 1.Meccanismo del prezzo chiuso e assenza dei presupposti richiesti dalla normativa. In accordo alla previsione di cui all’art. 133 del D. Lgs. n. 163/2006 menzionato, il Supremo Consesso ha ritenuto nel caso corretta l’applicazione del meccanismo del prezzo chiuso, in quanto coerente con le norme europee che non sanciscono alcun obbligo a carico degli Stati membri di prevedere la revisione al rialzo del prezzo. Tale linea, peraltro, è stata ulteriormente seguita dal legislatore nazionale anche nel nuovo codice degli appalti che, a differenza della previgente disciplina, sancisce come la revisione dei prezzi operi solo se prevista nei documenti di gara. Ed invero, il codice del 2006 prevedeva la possibilità, in base all’art. 115, per i contratti di recare una clausola di revisione, purché questi ultimi fossero “ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture”. Pertanto, il giudice precisa come si possa applicare solo “ai contratti di durata, ad esecuzione continuata o periodica, trascorso un determinato periodo di tempo dal momento in cui è iniziato il rapporto e fino a quando lo stesso, fondato su uno specifico contratto, non sia cessato ed eventualmente sostituito da un altro (...) l'istituto della revisione dei prezzi, in particolare, ha la finalità di salvaguardare l'interesse pubblico a che le prestazioni di beni e servizi alle pubbliche amministrazioni non siano esposte col tempo al rischio di una diminuzione qualitativa e al contempo essa è posta a tutela dell'interesse dell'impresa a non subire l'alterazione dell'equilibrio contrattuale conseguente alle modifiche dei costi sopraggiunte durante l'arco del rapporto; Nel caso specifico, poi, l’appellante avrebbe potuto e dovuto proporre la diversa domanda di applicazione della compensazione. 2. Mancato automatismo con la disciplina della risoluzione per eccessiva onerosità. Prosegue il Supremo Consesso precisando che le conseguenze derivanti dall’incremento dei prezzi non possono essere evitate, sic et simpliciter, neppure facendo affidamento all’art. 1467 c.c. che in ogni caso non prevede un diritto potestativo di determinare la risoluzione del contratto in via unilaterale a fronte di tali squilibri ma richiede una pronuncia da parte dell’autorità giudiziaria. 3. Inapplicabilità dell’istituto delle riserve. Infine, chiarisce il Consiglio di Stato che è da ritenersi inammissibile, su tali partite, il ricorso alla disciplina delle riserve le quali possono avere ad oggetto “le sole istanze inerenti alla contabilizzazione del corrispettivo contrattuale delle opere eseguite o da eseguire, ma non già anche le riserve per eventuale revisione dei prezzi, con riguardo alle quali ultime è sufficiente che la relativa domanda sia comunque presentata prima della firma del certificato di collaudo, senza che sia necessaria la sua riproduzione in quel documento (cfr. Cons. St., sez. IV, 3818/2002; Cass. civ., sez. I, 16 giugno 1997, n. 5373)”. Di seguito il testo integrale del provvedimento. A cura della dott.ssa Michela Rillo #FocusAppalti [email protected] L’articolo 63 della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale secondo la quale l’impresa mandataria di un raggruppamento di operatori economici partecipante a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico deve possedere i requisiti previsti nel bando di gara ed eseguire le prestazioni di tale appalto in misura maggioritaria.
La vicenda: in seguito all’indizione di una procedura ad evidenza pubblica, la società seconda classificata proponeva ricorso al Tar evidenziando come l’ATI prima in graduatoria non rispettasse tutti i requisiti richiesti dal bando. Il Tar accoglieva il ricorso in questione attestando che “conformemente al combinato disposto dell’articolo 83, comma 8, e dell’articolo 89 del Codice dei contratti pubblici, un’impresa mandataria può sempre fare affidamento sulle capacità degli altri operatori economici facenti parte del raggruppamento, ma a condizione che soddisfi essa stessa i requisiti di ammissione ed esegua le prestazioni in misura maggioritaria rispetto agli altri operatori economici”. Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana, essendo di diverso avviso, ha sottoposto la seguente questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea: “se l’articolo 63 della direttiva 2014/24, in combinato disposto con gli articoli 49 e 56 TFUE, debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale secondo la quale l’impresa mandataria di un raggruppamento di operatori economici partecipante ad una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico deve possedere i requisiti previsti nel bando di gara ed eseguire le prestazioni di tale appalto in misura maggioritaria”. Ad avviso del giudice europeo l’art. 83, comma 8 del Codice degli Appalti, obbligando la mandataria ad eseguire le prestazioni oggetto di un appalto in misura maggioritaria rispetto alle mandanti, impone una condizione più rigorosa rispetto a quella prevista dalla direttiva 2014/24. Se è vero, infatti, che l’art. 19, par. 2, della suddetta direttiva consente agli Stati membri di stabilire clausole standard che specifichino le condizioni relative alla capacità economica, finanziaria, tecnica e professionale dei raggruppamenti e l’art. 63, par. 2 della medesima consente alle stazioni appaltanti di esigere che taluni compiti essenziali siano svolti da un preciso partecipante all’ATI, l’art. 83, comma 8 del Codice degli Appalti elude i confini della normativa europea poiché “una norma del genere non si limita a precisare il modo in cui un raggruppamento di operatori economici deve garantire di possedere le risorse umane e tecniche necessarie per eseguire l’appalto, ai sensi dell’articolo 19, par. 2, di detta direttiva, in combinato disposto con l’articolo 58, paragrafo 4, della stessa, ma riguarda l’esecuzione stessa dell’appalto e richiede in proposito che essa sia svolta in misura maggioritaria dal mandatario del raggruppamento”. (...) “la volontà del legislatore dell’Unione, conformemente agli obiettivi di cui ai considerando 1 e 2 della medesima direttiva, consiste nel limitare ciò che può essere imposto a un singolo operatore di un raggruppamento, seguendo un approccio qualitativo e non meramente quantitativo, al fine di incoraggiare la partecipazione di raggruppamenti come le associazioni temporanee di piccole e medie imprese alle gare di appalto pubbliche.” A cura della dott.ssa Michela Rillo #FocusAppalti [email protected] L’Adunanza Plenaria si esprime sulla natura e sulla portata della garanzia prevista dall'art. 93 del D. Lgs. n. 50/2016 enunciando il seguente principio di diritto: “il comma 6 dell’art. 93 del decreto legislativo n. 50 del 2016 – nel prevedere che la “garanzia provvisoria” a corredo dell’offerta «copre la mancata sottoscrizione del contratto dopo l’aggiudicazione dovuta ad ogni fatto riconducibile all’affidatario (…)» – delinea un sistema di garanzie che si riferisce al solo periodo compreso tra l’aggiudicazione ed il contratto e non anche al periodo compreso tra la “proposta di aggiudicazione” e l’aggiudicazione”. La vicenda nasce in particolare dall'esclusione, con contestuale escussione della cauzione, di un operatore economico per via della sussistenza di un provvedimento di rinvio a giudizio a carico di uno dei soggetti di cui all'art. 80, comma 3, del Codice in aggiunta ad ulteriori vicende penali ritenute rilevanti dalla stazione appaltante. Il Supremo Consesso, all'esito di una ricostruzione dell'evoluzione normativa in tema di garanzie provvisoria e definitiva, ha ricordato che: (i) quanto alla prima "nella fase fisiologica, la “cauzione” assolve alla funzione di evidenziare la serietà e l’affidabilità dell’offerta, con obbligo dell’amministrazione di restituire la prestazione al momento della sottoscrizione del contratto. Nella fase patologica, la “cauzione” ha natura di rimedio di autotutela, con funzione compensativa, potendo l’amministrazione incamerare il bene consegnato a titolo di liquidazione forfettaria dei danni relativi alla fase procedimentale”; (ii) la seconda, alla luce delle deroghe contenute nell'art. 103 del Codice alle norme generali in materia di fideiussione e al rapporto di "accessorietà" ( “i) al beneficio della preventiva escussione del debitore principale; ii) al rapporto di accessorietà, dovendo operare questa forma di garanzia a semplice richiesta; iii) all’eccezione che consente di fare valere la garanzia anche dopo la scadenza dell’obbligazione principale”) deve essere identificata nel contratto autonomo di garanzia (Cass. civ., SSUU, 18.2.2010, n. 3947). Sulla scorta di tali principi l’Adunanza Plenaria ha chiarito che: - "il comma 6 dell’art. 93 del decreto legislativo n. 50 del 2016 è chiaro nello stabilire che «la garanzia copre la mancata sottoscrizione del contratto dopo l’aggiudicazione dovuta ad ogni fatto riconducibile all’affidatario (...)». Il riferimento sia all’aggiudicazione, quale provvedimento finale della procedura amministrativa, sia al «fatto riconducibile all’affidatario» e non anche al concorrente destinatario della “proposta di aggiudicazione” rende palese il significato delle parole utilizzate dal legislatore nel senso di delimitare l’operatività della garanzia al momento successivo all’aggiudicazione (in questo senso anche Cons. Stato, sez. IV, 15 dicembre 2021, n. 8367, che ha esaminato una questione analoga a quella in esame, con decisione, però, assunta successivamente alla camera di consiglio con cui è stata disposta la remissione all’Adunanza Plenaria). Il comma 9 dello stesso art. 93 prevede, inoltre, che «la stazione appaltante, nell’atto con cui comunica l’aggiudicazione ai non aggiudicatari, provvede contestualmente, nei loro confronti, allo svincolo della garanzia» prestata a corredo dell’offerta"; - "sul piano dell’interpretazione teleologica, il legislatore ha inteso ridurre l’ambito di operatività del sistema delle garanzie nella fase procedimentale, come risulta dall’analisi della successione delle leggi nel tempo. In particolare, il Codice del 2016 non ha confermato il sistema previgente disciplinato dall’art. 48 del Codice del 2006, che prevedeva la possibilità, ricorrendo i presupposti indicati, di escutere la garanzia, con funzione sanzionatoria, anche nei confronti dei partecipanti alla procedura. Ne consegue che l’estensione del perimetro della “garanzia provvisoria” si porrebbe in contrasto con la ratio legis. L’esposta diversità di regime ha indotto il Consiglio di Stato, con la citata ordinanza n. 3299 del 2021, a rimettere alla Corte Costituzionale la questione relativa all’applicazione retroattiva della nuova disciplina della “garanzia provvisoria” (applicata al solo aggiudicatario con funzione compensativa) perché più favorevole rispetto alla precedente disciplina (applicata anche al concorrente con funzione punitiva)"; - "sul piano dell’interpretazione sistematica, in primo luogo, dall’analisi del contesto in cui la norma è inserita e, in particolare, dalla lettura coordinata di alcune disposizioni del Codice risulta chiara la distinzione tra la fase procedimentale relativa alla “proposta di aggiudicazione” e la fase provvedimentale relativa all’“aggiudicazione”. Con riguardo alla “proposta di aggiudicazione” formulata dalla commissione di gara, il Codice – che, come già esposto, ha inteso attribuirle natura autonoma – disciplina il rapporto tra essa e l’aggiudicazione. Il destinatario della proposta è ancora un concorrente, ancorché individualizzato. In questa fase si inseriscono i seguenti adempimenti: i) la stazione appaltante, prima dell’aggiudicazione dell’appalto, «richiede all’offerente cui ha deciso di aggiudicare l’appalto (...) di presentare documenti complementari aggiornati», nel rispetto di determinate modalità, per dimostrare la sussistenza dei requisiti generali e speciali di partecipazione alla gara (art. 85, comma 5); ii) la “proposta di aggiudicazione” «è soggetta ad approvazione dell’organo competente secondo l’ordinamento della stazione appaltante e nel rispetto dei termini dallo stesso previsti, decorrenti dal ricevimento della proposta di aggiudicazione da parte dell’organo competente» (art. 33, comma 1); iii) la stazione appaltante, dopo la suddetta approvazione, «provvede all’aggiudicazione» (art. 32, comma 5). Nella prospettiva della tutela, la “proposta di aggiudicazione”, essendo atto endoprocedimentale, non è suscettibile di autonoma impugnazione. Con riguardo all’aggiudicazione, il Codice disciplina il rapporto tra essa e il contratto. L’art. 32, comma 6, stabilisce che «l’aggiudicazione non equivale ad accettazione dell'offerta», in quanto occorre la stipula del contratto e l'offerta dell'aggiudicatario è irrevocabile per sessanta giorni. Nella prospettiva della tutela, l’aggiudicazione è il provvedimento finale di conclusione del procedimento di scelta del contraente che, in quanto tale, ha rilevanza esterna e può essere oggetto sia di impugnazione in sede giurisdizionale sia di autotutela amministrativa. In secondo luogo, la valutazione sistematica anche delle regole civilistiche impone di evitare che il terzo – che ha stipulato un contratto autonomo di garanzia collegato al rapporto principale tra amministrazione e partecipante alla procedura di gara – debba eseguire prestazioni per violazioni non chiaramente definite dalle regole di diritto pubblico"; - "sul piano dell’interpretazione analogica, la diversità della disciplina e delle situazioni regolate relativa alle due fasi, risultante dall’applicazione degli esposti criteri interpretativi, impedisce di estendere alla fase procedimentale le “garanzie provvisorie” della fase provvedimentale per i motivi di seguito indicati. Nel caso di mancata stipulazione del contratto a seguito di una “aggiudicazione”, le ragioni, come esposto, possono dipendere sia dalla successiva verifica della mancanza dei requisiti di partecipazione sia, soprattutto, dalla condotta dell’aggiudicatario che, per una sua scelta, decide di non stipulare il contratto. In queste ipotesi la stazione appaltante deve annullare d’ufficio il provvedimento di aggiudicazione e rinnovare il procedimento con regressione alla fase della “proposta di aggiudicazione”. In tale contesto i possibili pregiudizi economici determinati dalla condotta dell’aggiudicatario sono coperti dalla “garanzia provvisoria” che consente all’amministrazione di azionare il rimedio di adempimento della prestazione dovuta con la finalità di compensare in via fortettaria i danni subiti dall’amministrazione per violazione delle regole procedimentali nonché dell’obbligo di concludere il contratto. Nel caso di “mancata aggiudicazione” a seguito di una “proposta di aggiudicazione”, i motivi di tale determinazione possono dipendere, oltre che da ragioni relative all’offerta, dalla verifica negativa preventiva del possesso dei requisiti di partecipazione del concorrente individuato. In queste ipotesi, contrariamente a quanto affermato nell’ordinanza di rimessione, l’amministrazione non è costretta a procedere all’aggiudicazione e poi ad esercitare il potere di annullamento in autotutela, potendosi limitare a non adottare l’atto di aggiudicazione e ad individuare il secondo classificato nei cui confronti indirizzare la nuova “proposta di aggiudicazione”. In tale contesto i pregiudizi economici, se esistenti, hanno portata differente rispetto a quelli che si possono verificare nella fase provvedimentale, con possibilità per l’amministrazione, ricorrendone i presupposti, di fare valere l’eventuale responsabilità precontrattuale del concorrente ai sensi degli artt. 1337- 1338 cod. civ. Rimane fermo, altresì, il potere dell’Autorità nazionale anticorruzione di applicare sanzioni amministrative pecuniarie qualora si accertino specifiche condotte contrarie alle regole della gara da parte degli operatori economici (art. 213, comma 13, d.lgs. n. 50 del 2016)". Sulla scorta di tali considerazioni l’Adunanza Plenaria ha quindi enunciato il principio di diritto esposto in premessa. A cura della dott.ssa Michela Rillo #FocusAppalti [email protected] Sulla GU n. 279 del 23.11.2021 è stato pubblicato il decreto del MIMS recante la “Rilevazione delle variazioni percentuali, in aumento o in diminuzione, superiori all’8 per cento, verificatesi nel primo semestre dell’anno 2021, dei singoli prezzi dei materiali da costruzione più significativi”. Le istanze di compensazione per l’aumento dei costi dei materiali – quantificate in base alle percentuali determinate nell’allegato decreto – sono disciplinate dall’art. 1 septies del D.L. n. 73/2021 convertito con modificazioni dalla legge 23 luglio 2021, n. 106, secondo il quale “la compensazione è determinata applicando alle quantità dei singoli materiali impiegati nelle lavorazioni eseguite e contabilizzate dal direttore dei lavori dal 1° gennaio 2021 fino al 30 giugno 2021 le variazioni in aumento o in diminuzione dei relativi prezzi rilevate dal decreto di cui al comma 1 con riferimento alla data dell’offerta, eccedenti l’8 per cento se riferite esclusivamente all’anno 2021 ed eccedenti il 10 per cento complessivo se riferite a più anni”. Il successivo comma 4 della predetta norma prevede che “per le variazioni in aumento, a pena di decadenza, l’appaltatore presenta alla stazione appaltante l’istanza di compensazione entro quindici giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto di cui al comma 1. Per le variazioni in diminuzione, la procedura è avviata d’ufficio dalla stazione appaltante, entro quindici giorni dalla predetta data; il responsabile del procedimento accerta con proprio provvedimento il credito della stazione appaltante e procede a eventuali recuperi”. In data 25.11.2021 il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili ha pubblicato una circolare interpretativa con cui ha chiarito che “alle eventuali compensazioni non si applica l'istituto della riserva, trattandosi di un diritto che discende dalla legge in presenza dei presupposti ivi fissati” e che, stante la previsione di cui all’art. 133, comma 1, lett. e), n. 2, del cod. proc. amm., sussiste in relazione a tali istanze la giurisdizione del giudice amministrativo con la conseguenza che, in caso di diniego o di riconoscimento parziale, occorrerà impugnare il relativo provvedimento, a pena di decadenza dal diritto, entro 60 giorni dalla sua conoscenza. Infine, qualora residuino partite di lavorazioni eseguite alla data del 15.6.2021 ma non ancora contabilizzate, nell’art. 8, comma 4, lett. a) del D.L. n. 76/2020 conv. in L. n. 120/2020, così come modificato dall’art. dall’art. 13, comma 1-bis, lett. a) e b), D.L. 31 dicembre 2020, n. 183, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 2021, n. 21 è previsto che “il direttore dei lavori adotta, in relazione alle lavorazioni effettuate alla data del 15 giugno 2021 e anche in deroga alle specifiche clausole contrattuali, lo stato di avanzamento dei lavori entro il 30 giugno 2021. Il certificato di pagamento viene emesso contestualmente e comunque entro cinque giorni dall'adozione dello stato di avanzamento. Il pagamento viene effettuato entro quindici giorni dall'emissione del certificato”. #FocusAppalti Marchio registrato di proprietà dello Studio Legale D'Agostino [email protected]
Con l'art. 1 septies del D.L. n. 73 del 25.5.2021 conv. in L. 24.7.2021, n. 107 sono state introdotte nuove disposizioni "urgenti in materia di revisione dei prezzi dei materiali nei contratti pubblici”. In particolare, la nuova norma prevede la possibilità di dar luogo a compensazioni (in aumento o diminuzione) per tutti i contratti in corso di esecuzione i cui materiali di necessario approvvigionamento – che verranno meglio precisati con apposito decreto del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili da emanarsi entro il 31.10.2021 - abbiano subito aumenti eccezionali nel primo semestre dell’anno 2021. Viene nella sostanza reintrodotto il meccanismo della compensazione del caro materiali in precedenza previsto dall'art. 133 del D. Lgs. n. 163/2006 e poi abrogato dal successivo D. Lgs. n. 50/2016. Secondo la norma in questione, si procederà a compensazione se, per lavori (compresi servizi e forniture) eseguiti e contabilizzati dal direttore dei lavori dal 1° gennaio 2021 fino al 30 giugno 2021, verranno rilevate variazioni superiori all’8% per l’anno 2021 o al 10% complessivo se riferite a più anni; in quest’ultimo caso, restano però ferme le variazioni già in precedenza rilevate dai decreti adottati ex art. 216, 27-ter d.lgs. 50/2016 (art. 133, 6 d.lgs.163/2006). In deroga ai canonici 60 giorni previsti dalla normativa generale, è sancito il termine di quindici giorni, dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto del Ministero, per l’inoltro da parte dell’appaltatore dell'istanza di compensazione per le variazioni in aumento. Sarà invece possibile per la stazione appaltante avviare la procedura d’ufficio e procedere ad eventuali recuperi per le variazioni in diminuzione. Potranno essere utilizzate risorse appositamente accantonate per gli imprevisti (nei limiti del 50%), nonché somme per le quali non sia già stata prevista un’apposita destinazione. Qualora le risorse siano insufficienti è altresì istituito il Fondo per l’adeguamento dei prezzi di importo pari al 100 milioni per l’anno 2021. Restano esclusi dall’utilizzo della predetta somma i concessionari di opere pubbliche nell’osservanza dei principi sottesi al rapporto di concessione (qual è il trasferimento a carico del concessionario del rischio economico-finanziario: all'articolo 142, comma 4 d.lgs. 163/2006 e all'articolo 164, comma 5 d.lgs. 50/2016). a cura di Michela Rillo [email protected] Con sentenza 27.5.2021, n. 109, la Corte Costituzionale ha offerto una panoramica molto interessante sui limiti e sulla portata del precetto contenuto nell’art. 240 bis del D. Lgs. N. 163/2006. Al giudice delle leggi veniva prospettata la presunta incostituzionalità della norma per contrasto con gli artt. 3, 24, 41 e 97 della Costituzione. Sotto accusa era il limite del 20% previsto dal “vecchio codice” per l’iscrizione delle riserve in contabilità e la presunta impossibilità di valutare nel merito tutte le riserve iscritte successivamente al superamento di detta soglia, anche se riconducibili a responsabilità della committenza. In particolare, secondo il giudice a quo, siffatta conseguenza avrebbe potuto provocare, sul piano sostanziale, una limitazione irragionevole delle pretese patrimoniali dell’appaltatore e, sul piano processuale, una compressione altrettanto inspiegabile del diritto d’azione. La Corte ha tuttavia ritenuto infondate le predette questioni ribadendo come l’art. 240 bis funga da deterrente all’operato di tutte quelle imprese che utilizzano l’istituto delle riserve per ottenere compensi aggiuntivi finalizzati a compensare offerte notevolmente basse formulate al solo fine di ottenere l’aggiudicazione. Nondimeno, sotto un diverso profilo, la ratio delle riserve è quella – non trascurabile - di porre rimedio a perdite economiche dovute ad inefficienze gestionali della committenza ovvero a errori progettuali o ad altre circostanze non imputabili all’appaltatore. Sulla scorta di ciò la Corte ha precisato che non si può subordinare l’iscrizione delle riserve a meri requisiti di ordine temporale dal momento che esse rappresentano anche uno strumento idoneo ad evidenziare carenze insite nel comportamento della pubblica amministrazione che, in caso di inadempimenti di rilevante gravità, giustificherebbero pretese risarcitorie a norma dell’art. 1453 c.c.. Tale rimedio, prosegue la Corte, non può ritenersi pregiudicato per il solo fatto della mancata tempestiva iscrizione di una specifica riserva o per il superamento del limite legale sancito dall’art. 240 bis. Afferma infatti il giudice delle leggi che:
Sulla scorta di tali argomentazioni la Corte ha quindi concluso che “la tutela degli interessi di rango costituzionale, sottesi alla disposizione censurata, non cagiona alcuna violazione degli artt. 3 e 24 Cost.”. a cura della dott.ssa Michela Rillo #FocusAppalti studio@avvocatodagostino |
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