Con sentenza 27.5.2021, n. 109, la Corte Costituzionale ha offerto una panoramica molto interessante sui limiti e sulla portata del precetto contenuto nell’art. 240 bis del D. Lgs. N. 163/2006. Al giudice delle leggi veniva prospettata la presunta incostituzionalità della norma per contrasto con gli artt. 3, 24, 41 e 97 della Costituzione. Sotto accusa era il limite del 20% previsto dal “vecchio codice” per l’iscrizione delle riserve in contabilità e la presunta impossibilità di valutare nel merito tutte le riserve iscritte successivamente al superamento di detta soglia, anche se riconducibili a responsabilità della committenza. In particolare, secondo il giudice a quo, siffatta conseguenza avrebbe potuto provocare, sul piano sostanziale, una limitazione irragionevole delle pretese patrimoniali dell’appaltatore e, sul piano processuale, una compressione altrettanto inspiegabile del diritto d’azione. La Corte ha tuttavia ritenuto infondate le predette questioni ribadendo come l’art. 240 bis funga da deterrente all’operato di tutte quelle imprese che utilizzano l’istituto delle riserve per ottenere compensi aggiuntivi finalizzati a compensare offerte notevolmente basse formulate al solo fine di ottenere l’aggiudicazione. Nondimeno, sotto un diverso profilo, la ratio delle riserve è quella – non trascurabile - di porre rimedio a perdite economiche dovute ad inefficienze gestionali della committenza ovvero a errori progettuali o ad altre circostanze non imputabili all’appaltatore. Sulla scorta di ciò la Corte ha precisato che non si può subordinare l’iscrizione delle riserve a meri requisiti di ordine temporale dal momento che esse rappresentano anche uno strumento idoneo ad evidenziare carenze insite nel comportamento della pubblica amministrazione che, in caso di inadempimenti di rilevante gravità, giustificherebbero pretese risarcitorie a norma dell’art. 1453 c.c.. Tale rimedio, prosegue la Corte, non può ritenersi pregiudicato per il solo fatto della mancata tempestiva iscrizione di una specifica riserva o per il superamento del limite legale sancito dall’art. 240 bis. Afferma infatti il giudice delle leggi che:
Sulla scorta di tali argomentazioni la Corte ha quindi concluso che “la tutela degli interessi di rango costituzionale, sottesi alla disposizione censurata, non cagiona alcuna violazione degli artt. 3 e 24 Cost.”. a cura della dott.ssa Michela Rillo #FocusAppalti studio@avvocatodagostino
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