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Torna la compensazione del caro materiali negli appalti di opere pubbliche: il punto sulla norma e l'attesa del decreto del MIMS.

30/7/2021

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Con l'art. 1 septies del D.L. n. 73 del 25.5.2021 conv. in L. 24.7.2021, n. 107 sono state introdotte nuove disposizioni "urgenti in  materia  di  revisione dei  prezzi  dei  materiali  nei  contratti  pubblici”.

In particolare, la nuova norma  prevede la possibilità di dar luogo a compensazioni (in aumento o diminuzione) per tutti i contratti in corso di esecuzione i cui materiali di necessario approvvigionamento – che verranno meglio precisati con apposito decreto del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili da emanarsi entro il 31.10.2021 - abbiano subito aumenti eccezionali nel primo semestre dell’anno 2021.

Viene nella sostanza reintrodotto il meccanismo della compensazione del caro materiali in precedenza previsto dall'art. 133 del D. Lgs. n. 163/2006 e poi abrogato dal successivo D. Lgs. n. 50/2016.

Secondo la norma in questione, si procederà a compensazione se, per lavori (compresi servizi e forniture) eseguiti e contabilizzati dal direttore dei lavori dal 1° gennaio 2021 fino al 30 giugno 2021, verranno rilevate variazioni superiori all’8% per l’anno 2021 o al 10% complessivo se riferite a più anni; in quest’ultimo caso, restano però ferme le variazioni già in precedenza rilevate dai  decreti adottati ex art. 216, 27-ter d.lgs. 50/2016 (art. 133, 6 d.lgs.163/2006).

In deroga ai canonici 60 giorni previsti dalla normativa generale, è sancito il termine di quindici giorni, dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto del Ministero, per l’inoltro da parte dell’appaltatore dell'istanza di compensazione per le variazioni in aumento. Sarà invece possibile per la stazione appaltante avviare la procedura d’ufficio e procedere ad eventuali recuperi per le variazioni in diminuzione.

Potranno essere utilizzate risorse appositamente accantonate per gli imprevisti (nei limiti del 50%), nonché somme per le quali non sia già stata prevista un’apposita destinazione. Qualora le risorse siano insufficienti è altresì istituito il Fondo per l’adeguamento dei prezzi di importo pari al 100 milioni per l’anno 2021.

Restano esclusi dall’utilizzo della predetta somma i concessionari di opere pubbliche nell’osservanza dei principi sottesi al rapporto di concessione (qual è il trasferimento a carico del concessionario del rischio economico-finanziario: all'articolo  142,  comma  4 d.lgs. 163/2006 e all'articolo 164, comma 5 d.lgs. 50/2016).

​a cura di Michela Rillo
studio@avvocatodagostino.com

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Conforme alla Costituzione l'art. 240 bis del D. Lgs. n. 163/2006 ed il limite del 20% all'iscrizione di riserve negli appalti pubblici.

24/7/2021

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Con sentenza 27.5.2021, n. 109, la Corte Costituzionale ha offerto una panoramica molto interessante sui limiti e sulla portata del precetto contenuto nell’art. 240 bis del D. Lgs. N. 163/2006.
 
Al giudice delle leggi veniva prospettata la presunta incostituzionalità della norma per contrasto con gli artt. 3, 24, 41 e 97 della Costituzione. Sotto accusa era il limite del 20% previsto dal “vecchio codice” per l’iscrizione delle riserve in contabilità e la presunta impossibilità di valutare nel merito tutte le riserve iscritte successivamente al superamento di detta soglia, anche se riconducibili a responsabilità della committenza.
 
In particolare, secondo il giudice a quo, siffatta conseguenza avrebbe potuto provocare, sul piano sostanziale, una limitazione irragionevole delle pretese patrimoniali dell’appaltatore e, sul piano processuale, una compressione altrettanto inspiegabile del diritto d’azione.
 
La Corte ha tuttavia ritenuto infondate le predette questioni ribadendo come l’art. 240 bis funga da deterrente all’operato di tutte quelle imprese che utilizzano l’istituto delle riserve per ottenere compensi aggiuntivi finalizzati a compensare offerte notevolmente basse formulate al solo fine di ottenere l’aggiudicazione.

Nondimeno, sotto un diverso profilo, la ratio delle riserve è quella – non trascurabile - di porre rimedio a perdite economiche dovute ad inefficienze gestionali della committenza ovvero a errori progettuali o ad altre circostanze non imputabili all’appaltatore.

Sulla scorta di ciò la Corte ha precisato che non si può subordinare l’iscrizione delle riserve a meri requisiti di ordine temporale dal momento che esse rappresentano anche uno strumento idoneo ad evidenziare carenze insite nel comportamento della pubblica amministrazione che, in caso di inadempimenti di rilevante gravità, giustificherebbero pretese risarcitorie a norma dell’art. 1453 c.c.. 
 
Tale rimedio, prosegue la Corte, non può ritenersi pregiudicato per il solo fatto della mancata tempestiva iscrizione di una specifica riserva o per il superamento del limite legale sancito dall’art. 240 bis.
 
Afferma infatti il giudice delle leggi che:
  • “se l'impresa appaltatrice, dopo aver annotato riserve per il venti per cento dell'importo contrattuale, perdesse automaticamente la possibilità di avanzare pretese subordinate alla loro iscrizione in riserva, non avrebbe più alcun interesse a continuare a rispettare il relativo onere. Tuttavia, poiché la legge lo prevede anche per fatti suscettibili di evidenziare inadempimenti della stazione appaltante e questi ultimi, ove di non scarsa importanza, giustificherebbero comunque pretese anche risarcitorie, ex art. 1453 del codice civile, a prescindere dall'apposizione di riserve (ex multis, Corte di cassazione, terza sezione civile, ordinanza 6 maggio 2020, n. 8517; Corte di cassazione, prima sezione civile, ordinanza 5 settembre 2018, n. 21656 e sentenza 3 novembre 2016, n. 22275), il committente si troverebbe esposto a un rischio significativo: quello di non aver avuto tempestiva contezza - a causa della mancata annotazione delle pretese - di contestazioni relative a sue stesse inadempienze, con la conseguenza di non aver potuto assumere opportune determinazioni, quale l'esercizio del recesso di cui all'art. 134 cod. contratti pubblici”;
  • “per contro, ove si riferisca la soglia legale alle riserve suscettibili di accoglimento, residuerebbe in capo all'appaltatore un certo grado di aleatorietà in merito al raggiungimento del limite delle pretese liquidabili, subordinatamente all'onere delle riserve, e tale incertezza dovrebbe indurlo, prudenzialmente, a continuare ad annotarle, a tutto beneficio delle esigenze della trasparenza”;
  • “selezionare le riserve ammissibili in base all'ordine della loro iscrizione vorrebbe dire negare all'impresa di poter agire in via giudiziale per dimostrare la fondatezza delle sue pretese, in ragione di una circostanza che è del tutto contingente, casuale e priva di intrinseca ragionevolezza, qual è l'ordine di annotazione delle richieste, condizionato dalla mera successione cronologica con cui si pongono i vari problemi nell'esecuzione del contratto”;
  • “dinanzi al quadro sopra descritto, occorre innanzitutto segnalare che i rimedi contrattuali di natura risolutoria, e le correlate azioni anche risarcitorie, non sono, secondo un orientamento costante del diritto vivente, subordinati al rispetto dell'onere di iscrivere riserve”;
  • “ove la soglia del venti per cento venisse superata con richieste ascrivibili a inadempimenti della stazione appaltante che, nel complesso, evidenziassero, da parte del committente, un inadempimento di non scarsa importanza, sarebbe certamente consentita, oltre alla risoluzione del contratto, anche l'azione risarcitoria per illecito contrattuale (Corte di cassazione, prima sezione civile, sentenze 5 settembre 2018, n. 21656; 3 novembre 2016, n. 22275; 17 settembre 2014, n. 19531; 11 gennaio 2006, n. 388; 4 febbraio 2000, n. 1217; 17 marzo 1982, n. 1728)”;
  • oltre il limite del 20% è “certamente inibito accedere all'accordo bonario, mentre non risultano precluse azioni giudiziarie, piuttosto viene lievemente potenziato il rischio contrattuale”;
  • “per orientamento uniforme del diritto vivente, sono indifferenti all'istituto dell'iscrizione di riserve e, dunque, sono sempre ammissibili le azioni risolutorie e quelle ad esse correlate, a partire dal risarcimento del danno di cui all'art. 1453 cod. civ.”;
  • “non risente del limite legale posto dal censurato art. 240-bis, comma 1, l'azione di risarcimento del danno per inadempimento doloso o gravemente colposo della stazione appaltante, sempre che la relativa pretesa sia stata iscritta a riserva”.

Sulla scorta di tali argomentazioni la Corte ha quindi concluso che “la tutela degli interessi di rango costituzionale, sottesi alla disposizione censurata, non cagiona alcuna violazione degli artt. 3 e 24 Cost.”. 

​a cura della dott.ssa Michela Rillo
#FocusAppalti
studio@avvocatodagostino

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