Sull'errore materiale nell'offerta economica: esclusione diretta o possibilità di rettifica?31/3/2021 ![]() Breve commento alla sentenza del TAR Veneto, Sez. III, 2.3.2021, n. 291. Nel caso trattato nella sentenza in rassegna, un operatore economico era stato escluso da una procedura ad evidenza pubblica per via di una discordanza numerica tra l'importo inserito in uno degli allegati componenti l'offerta economica e l'importo inserito, per la stessa voce, sulla piattaforma telematica di negoziazione. Osserva il TAR nel caso in questione che, in linea generale, nella materia degli appalti pubblici vige il principio della immodificabilità dell’offerta, che è regola posta a tutela della imparzialità e della trasparenza dell’agire della stazione appaltante, nonché a ineludibile tutela del principio della concorrenza e della parità di trattamento tra gli operatori economici; in proposito la giurisprudenza amministrativa ha più volte precisato che “nelle gare pubbliche è ammissibile un'attività interpretativa della volontà dell'impresa partecipante alla gara da parte della stazione appaltante, al fine di superare eventuali ambiguità nella formulazione dell'offerta, purché si giunga ad esiti certi circa la portata dell'impegno negoziale con essi assunti; evidenziandosi, altresì, che le offerte, intese come atto negoziale, sono suscettibili di essere interpretate in modo tale da ricercare l'effettiva volontà del dichiarante, senza peraltro attingere a fonti di conoscenza estranee all'offerta medesima né a dichiarazioni integrative o rettificative dell'offerente” (in tal senso Consiglio di Stato, sez. V, 11 gennaio 2018, n. 113 che richiama i principi posti da Consiglio di Stato, sez. IV, 6 maggio 2016, n. 1827). Con più specifico riferimento all’errore materiale è stato di recente evidenziato che “Per indirizzo giurisprudenziale univoco, anche di questa sezione, ciò che si richiede al fine di poter indentificare un errore materiale all'interno dell'offerta di gara e, quindi, procedere legittimamente alla sua rettifica, è che l'espressione erronea sia univocamente riconoscibile come tale, ovvero come frutto di un "errore ostativo" intervenuto nella fase della estrinsecazione formale della volontà. La valutazione che la stazione appaltante è chiamata a svolgere e che la giurisprudenza descrive con icastiche varianti lessicali (lapsus calami rilevabile ictu oculi ed ex ante, quindi senza bisogno di alcuna indagine ricostruttiva della volontà), proprio perché si connota di oggettività e di immediatezza non può, in linea di principio, derivare da sforzi ricostruttivi e interpretativi, ma deve arrestarsi al riscontro di un'inesatta formulazione "materiale" dell'atto. Una cosa è, dunque, l'interpretazione conservativa dell'atto (1465 c.c.), altra è la correzione di una sua incongruenza estrinseca e formale, rinvenibile nel suo sostrato materiale, espressivo o comunicativo (1433 c.c.). In un caso, si fa riferimento a dati intrinseci all'atto, attinenti al suo significato giuridico e che ne motivano una certa valutazione contenutistica; nel secondo caso, viene emendata l'espressione materiale, come percepita nella sua consistenza fisica (ictu oculi), in un momento indipendente e antecedente alla ponderazione del suo significato giuridico (ex ante). Si deve tuttavia ritenere che questi parametri ricostruttivi non debbano essere estremizzati e che, dunque, possa riconoscersi una certa circolarità "ermeneutica" tra interpretazione e rilevazione dell'errore materiale - ben potendo questo risaltare anche da una palese distonia di tipo logico o discorsivo rispetto alla restante trama espositiva del documento.” (Consiglio di Stato, sez. III; 9 dicembre 2020, n. 7758). Dunque, prosegue il TAR, sulla base degli approdi giurisprudenziali:
Sulla scorta di tali principi, il TAR ha annullato il provvedimento di esclusione ritenendo che la stazione appaltante abbia errato nel ritenere l'offerta equivoca, dovendo piuttosto procedere - una volta rilevato l'errore di trascrizione - ad effettuare una mera operazione matematica di somma algebrica tra i vari importi componenti l'offerta, al fine di evincere l'importo corretto. a cura di Michela Rillo #FocusAppalti [email protected]
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![]() La sentenza in esame della Suprema Corte offre un'interessante disamina delle potenziali responsabilità del direttore dei lavori in caso di crollo dell'opera. In particolare la Cassazione Penale, Sez. IV, con sentenza 26.1.2021, n. 5799 ha avuto modo di chiarire che il direttore dei lavori, in virtù di specifiche competenze tecniche, è tenuto ad assicurare che l’opera venga realizzata secondo le aspettative della committenza, tanto che il suo comportamento debba essere valutato non con riferimento al normale concetto di diligenza, ma secondo la cosiddetta "diligentia quam in concreto”, rientrando, pertanto, nei suoi obblighi l'accertamento della conformità della progressiva realizzazione dell'opera al progetto/capitolato/regole tecniche e l'adozione di tutti i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire che la realizzazione avvenga senza difetti costruttivi. “Ne consegue che non si sottrae a responsabilità il professionista che ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo, nonché di controllarne l'ottemperanza da parte dell'appaltatore; in particolare l'attività del direttore dei lavori si concreta nell'alta sorveglianza delle opere, che, pur non richiedendo la presenza continua e giornaliera sul cantiere né il compimento di operazioni di natura elementare, comporta comunque il controllo della realizzazione dell'opera nelle sue varie fasi e pertanto l'obbligo del professionista di verificare, attraverso periodiche visite e contatti diretti con gli organi tecnici dell'impresa, da attuarsi in relazione a ciascuna di tali fasi, se sono state osservate le regole dell'arte e la corrispondenza dei materiali impiegati”. Nell’inosservanza di siffatta “alta sorveglianza” il giudice di legittimità ha pertanto ravvisato una vera e propria responsabilità del direttore a titolo di colpa. Né è valsa al ricorrente l'invocazione del principio di affidamento in ordine all'altrui corretto agire, il quale non ha valore assoluto ma “incontra il limite logico, che si innesta su chi riveste una posizione di garanzia, funzionale a prevenire il verificarsi del danno. (…) Chi assume tale ruolo sarà sollevato da responsabilità solo ove la sua condotta sia esente da colpa”. Nel caso in questione, dunque, ha ritenuto la Suprema Corte che non poteva neppure parlarsi di un principio di affidamento "legittimo", poiché, in virtù della rilevanza del bene giuridico in questione, è la stessa norma, avendo natura precauzionale, ad imporre alla figura del direttore dei lavori la concreta verifica della regolare esecuzione dei lavori. a cura di Michela Rillo #FocusAppalti [email protected] ![]() Nella sentenza in rassegna (TAR Piemonte, Sez. I, n. 73/2021) il giudice amministrativo offre uno spunto molto interessante in merito all'attendibilità ed alla sostenibilità dell'offerta economica in una gara avente ad oggetto una concessione di servizi. Nella fattispecie era in contestazione la congruità dell'offerta economica dell'aggiudicataria perché la previsione dei ricavi, secondo la ricorrente (seconda graduata) non sarebbe stata realistica alla luce del valore della concessione e del fatturato degli anni precedenti messo a disposizione dal gestore uscente. Lamentava inoltre la ricorrente il mancato espletamento della procedura di anomalia prevista dagli artt. 164 e 183 co. 9 del D.lgs. n. 50/2016. Il TAR ha chiarito al riguardo che: a) nei contratti di concessione, in cui ex lege vi è l’assunzione da parte dell’impresa di un necessario margine di rischio economico, sarebbe da ritenersi legittima una scelta imprenditoriali disallineata rispetto alla precedente gestione, purchè sia compatibili con l’oggetto e i mezzi della concessione posta a base di gara; b) il procedimento di anomalia è un istituto normalmente previsto per i contratti di appalto di opere nei quali l’esposizione di costi, ricavi e utili rappresentano degli elementi statici. Ne consegue, osserva in conclusione il TAR, che, "fermo restando che l’offerta non deve costituire un azzardo (con rischi di mala gestio o addirittura di interruzione del servizio), sono e restano fisiologicamente diversi i parametri economici da cui muove il giudizio di credibilità del progetto. I dati dei costi e ricavi storici indicati negli atti di gara, invocati dalla ricorrente, nella logica della procedura rappresentano non un limite invalicabile (se fossero tali non vi sarebbe sostanziale margine per le scelte di rischio propriamente imprenditoriale che la concessione implica, né sarebbe mai possibile, al rinnovo della concessione, prospettare una evoluzione dell’equilibrio contrattuale pur a fronte, ad esempio, di un mercato in forte evoluzione) ma dei parametri oggettivi per la formulazione da parte dei concorrenti di una offerta secondo una strategia di impresa che ogni concorrente può, ed anzi deve nello spirito dell’istituto, liberamente progettare a partire dalle condizioni date". a cura di Michela Rillo #FocusAppalti [email protected] |
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