Consiglio di Stato, Sez. IV, 7.7.2022, n. 5667. Annotiamo un interessante pronunciamento del Consiglio di Stato in merito all’istituto della revisione dei prezzi negli appalti pubblici. La vicenda aveva ad oggetto i maggiori oneri richiesti dall'appaltatore per via del forte aumento dei prezzi, circostanza che aveva indotto l'impresa a formulare riserve relative al maggiore aggravio economico subito. Il Consiglio di Stato sull'argomento si è espresso fornendo i seguenti chiarimenti. 1.Meccanismo del prezzo chiuso e assenza dei presupposti richiesti dalla normativa. In accordo alla previsione di cui all’art. 133 del D. Lgs. n. 163/2006 menzionato, il Supremo Consesso ha ritenuto nel caso corretta l’applicazione del meccanismo del prezzo chiuso, in quanto coerente con le norme europee che non sanciscono alcun obbligo a carico degli Stati membri di prevedere la revisione al rialzo del prezzo. Tale linea, peraltro, è stata ulteriormente seguita dal legislatore nazionale anche nel nuovo codice degli appalti che, a differenza della previgente disciplina, sancisce come la revisione dei prezzi operi solo se prevista nei documenti di gara. Ed invero, il codice del 2006 prevedeva la possibilità, in base all’art. 115, per i contratti di recare una clausola di revisione, purché questi ultimi fossero “ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture”. Pertanto, il giudice precisa come si possa applicare solo “ai contratti di durata, ad esecuzione continuata o periodica, trascorso un determinato periodo di tempo dal momento in cui è iniziato il rapporto e fino a quando lo stesso, fondato su uno specifico contratto, non sia cessato ed eventualmente sostituito da un altro (...) l'istituto della revisione dei prezzi, in particolare, ha la finalità di salvaguardare l'interesse pubblico a che le prestazioni di beni e servizi alle pubbliche amministrazioni non siano esposte col tempo al rischio di una diminuzione qualitativa e al contempo essa è posta a tutela dell'interesse dell'impresa a non subire l'alterazione dell'equilibrio contrattuale conseguente alle modifiche dei costi sopraggiunte durante l'arco del rapporto; Nel caso specifico, poi, l’appellante avrebbe potuto e dovuto proporre la diversa domanda di applicazione della compensazione. 2. Mancato automatismo con la disciplina della risoluzione per eccessiva onerosità. Prosegue il Supremo Consesso precisando che le conseguenze derivanti dall’incremento dei prezzi non possono essere evitate, sic et simpliciter, neppure facendo affidamento all’art. 1467 c.c. che in ogni caso non prevede un diritto potestativo di determinare la risoluzione del contratto in via unilaterale a fronte di tali squilibri ma richiede una pronuncia da parte dell’autorità giudiziaria. 3. Inapplicabilità dell’istituto delle riserve. Infine, chiarisce il Consiglio di Stato che è da ritenersi inammissibile, su tali partite, il ricorso alla disciplina delle riserve le quali possono avere ad oggetto “le sole istanze inerenti alla contabilizzazione del corrispettivo contrattuale delle opere eseguite o da eseguire, ma non già anche le riserve per eventuale revisione dei prezzi, con riguardo alle quali ultime è sufficiente che la relativa domanda sia comunque presentata prima della firma del certificato di collaudo, senza che sia necessaria la sua riproduzione in quel documento (cfr. Cons. St., sez. IV, 3818/2002; Cass. civ., sez. I, 16 giugno 1997, n. 5373)”. Di seguito il testo integrale del provvedimento. A cura della dott.ssa Michela Rillo #FocusAppalti [email protected]
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