Nel caso in rassegna un operatore economico aveva preso parte ad una gara bandita da Invitalia, nel contesto della quale aveva omesso di dichiarare la pendenza a proprio carico di procedimenti penali.
L’A.N.AC., resa edotta da Invitalia della circostanza ha inflitto all’OE una sanzione pecuniaria con conseguente annotazione della condotta nel casellario informatico sulla scorta del fatto che la fattispecie fosse configurabile come grave illecito professionale incidente sull’affidabilità professionale del concorrente ex art. 80, comma 5, lett. c) del D. Lgs. n. 50/2016. Il TAR ha osservato al riguardo che deve essere la stazione appaltante a dimostrare “con mezzi adeguati” la colpevolezza dell’OE per aver dato luogo a gravi illeciti professionali tali da rendere dubbia la sua integrità/affidabilità ma nella fattispecie tale dimostrazione non era stata fornita, anzi, la stessa stazione appaltante aveva qualificato l’omissione in questione come mera carenza informativa, tale da non comportare neppure l’esclusione dell’impresa dalla gara. Sulla scorta di ciò il TAR ha annullato i provvedimenti dell’A.N.AC. rilevando tra l’altro che non sussiste una normativa che obblighi il concorrente, ai fini della partecipazione a una gara, a dichiarare la sussistenza di “carichi pendenti”. Di seguito il testo integrale della sentenza. Pubblicato il 11/09/2019 N. 10837/2019 REG.PROV.COLL. N. 09728/2018 REG.RIC. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9728 del 2018, proposto da ALMA C.I.S. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Alberto Zito, Jacopo Vavalli e Pierluigi Marramiero, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, piazza San Lorenzo in Lucina, 26; contro Autorità Nazionale Anticorruzione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia “ex lege” in Roma, via dei Portoghesi, 12; nei confronti Agenzia Nazionale per l'Attrazione degli Investimenti e lo Sviluppo d'Impresa S.p.A.- Invitalia, non costituita in giudizio; per l'annullamento previa adozione di idonee misure cautelari - della delibera n. 729 adottata dal Consiglio dell'Autorità Nazionale Anticorruzione il 31 luglio 2018 e notificata il 6 agosto 2018; - dell'annotazione nel Casellario informatico degli operatori economici dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture disposta per effetto della delibera n. 729/2018; - di ogni altro atto e/o provvedimento prodromico, collegato, conseguenziale e/o successivo. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto il decreto cautelare monocratico presidenziale n. 4985/18 del 17.8.2018; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, con la relativa documentazione; Vista l’ordinanza cautelare di questa Sezione n. 5303/2018 del 14.9.2018; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del 3 luglio 2019 il dott. Ivo Correale e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO In seguito a comunicazione della stazione appaltante - Agenzia Nazionale per l'Attrazione degli Investimenti e lo Sviluppo d'Impresa S.p.A. (“Invitalia”) - relativa a omissione dichiarativa ritenuta rilevante al fine del corretto svolgimento della procedura di una gara di appalto di lavori per la realizzazione di un istituto scolastico in Amatrice, effettuata dalla Alma Cis s.r.l. (“Alma”), che aveva partecipato in subappalto del r.t.i. con mandatario il Consorzio CME, l’Autorità Nazionale Anticorruzione (“Anac” o “Autorità”) avviava un procedimento per l’eventuale irrogazione di sanzioni interdittive e pecuniarie, ai sensi degli artt. 80, comma 12, e 213, comma 13, del d.lgs. n. 50/2016 (Codice dei Contratti Pubblici” o “Codice”), a carico di tale impresa, anche se nel frattempo il r.t.i. in questione aveva rinunciato al subappalto ad Alma. In particolare, era risultato che, in sede di domanda di partecipazione, Alma aveva prodotto il documento di gara unico europeo (“DGUE”) contenente le dichiarazioni sostitutive richieste. Tra tali dichiarazioni vi era quella “di accettare che la Stazione Appaltante si potrà avvalere della clausola risolutiva espressa, di cui all’articolo 1456 c.c., ogni qualvolta nei confronti dell’imprenditore o dei componenti la compagine sociale, o dei dirigenti dell’impresa, sia stata disposta misura cautelare o sia intervenuto rinvio a giudizio per taluno dei delitti di cui agli articoli 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, 320, 322, 322-bis, 346-bis, 353 e 353-bis c.p.”, secondo un “prestampato” a cui era apposto un “si” a margine dell’indicazione in questione. Ciò avveniva nel rispetto del “Protocollo di Legalità” sottoscritto il 26 luglio 2017 dalla Struttura di Missione ex art. 30 della Legge n. 229/2016, dal Commissario Straordinario del Governo e da Invitalia - come richiamato nella lettera di invito - ma senza richiesta di ulteriori dichiarazioni sui carichi pendenti degli amministratori o di allegazione di relativa documentazione sul punto. Esaurita la fase istruttoria con la partecipazione dell’interessata, l’Anac adottava il provvedimento in epigrafe, con il quale riteneva di irrogare una sanzione pecuniaria per euro 4.000,00 ad Alma e altra impresa che aveva dato luogo alla medesima fattispecie, con conseguente annotazione nel casellario informatico presso detta Autorità. Quest’ultima fondava la sua conclusione richiamando, in sintesi, l’art. 80, comma 5, del Codice e l’irrilevanza dell’esclusione dalla gara e dell’intervenuta rinuncia al subappalto, configurando “colpa grave” nell’operato del soggetto dichiarante e lesione del rapporto di fiducia necessario tra le parti in una pubblica gara. Con rituale ricorso a questo Tribunale, Alma chiedeva l’annullamento, previe misure cautelari, anche ex art. 56 c.p.a., lamentando in sintesi quanto segue. “I. Illegittimità del provvedimento di ANAC per violazione di legge derivante dall’erronea qualificazione della fattispecie concreta e dalla conseguente erronea riconduzione della stessa nell’ambito della fattispecie astratta derivante dal combinato disposto di cui all’art. art. 80, comma 5, lettera c), e comma 12, del Codice dei contratti pubblici”. La ricorrente contestava, in primo luogo, l’apoditticità della conclusione dell’Anac, secondo la quale “…Nel caso di specie si ritiene, come dianzi precisato, che l’assunzione degli obblighi connessi al Protocollo Quadro di Legalità fosse contestuale alla sottoscrizione del modello DGUE”. Non era stato considerato, infatti, che nessuna tra le norme di cui al Codice dei contratti pubblici (o altra) stabilisce l’obbligo per l’operatore economico che partecipi ad una gara di comunicare alla stazione appaltante i carichi pendenti in capo ai soggetti indicati nell’art. 80, comma 3, del Codice stesso, fermo restando che, ai sensi dell’art. 80, comma 1, del predetto Codice, costituisce motivo di esclusione di un operatore economico dalla partecipazione a una procedura d'appalto, la sola condanna - con sentenza definitiva o decreto penale di condanna divenuto irrevocabile o sentenza di applicazione della pena su richiesta ex art. 444 c.p.c. - per uno dei reati elencati nelle successive lettere da a) a g). Neppure sussistevano ragioni per escludere il concorrente, ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. cit., che era riportato nel suo dato testuale, secondo quanto anche sviluppato nelle “Linee guida n. 6 dell’Autorità”, di attuazione del d.lgs. n. 50/16, recanti “Indicazione dei mezzi di prova adeguati e delle carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto che possano considerarsi significative per la dimostrazione delle circostanze di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. c) del Codice”. L’Anac, quindi, aveva illegittimamente preteso di ravvisare un’omissione, ritenuta rilevante ai sensi del combinato disposto dell’art. 80, comma 5, lettera c), e comma 12, del Codice dei contratti pubblici, in un caso in cui tale omissione non vi era stata, mancando l’obbligo dichiarativo alla base. Anche prendendo in considerazione il “Protocollo di Legalità” sopra ricordato, Alma evidenziava che quest’ultimo non richiedeva all’operatore economico di dichiarare in sede di partecipazione alla gara i carichi pendenti per i reati indicati nella clausola contenuta all’art. 5.1, lettera b, ivi introdotta, limitandosi a impegnare la stazione appaltante solo a inserire nella documentazione di gara la dichiarazione dell’operatore economico di accettazione della clausola in questione nell’ambito del contratto d’appalto “in fieri”. Che il Protocollo in questione non prevedesse la dichiarazione dei carichi pendenti in sede di partecipazione alla gara era circostanza coerente con il fatto che la clausola risolutiva non stabiliva alcun automatismo quanto al suo utilizzo da parte della stazione appaltante stessa, che, infatti, non era obbligata ad avvalersene, posto che la disposizione applicabile stabiliva che essa “…si potrà avvalere della clausola risolutiva espressa, di cui all’articolo 1456 c.c., ogni qualvolta nei confronti dell’imprenditore o dei componenti la compagine sociale, o dei dirigenti dell’impresa, sia stata disposta misura cautelare o sia intervenuto rinvio a giudizio per taluno dei delitti di cui agli articoli…”. In sostanza, per la ricorrente, la partecipazione alla gara da parte dell’operatore economico non intercettava in alcun modo l’applicazione della clausola, ben potendo quest’ultimo aggiudicarsi la gara e soltanto in seguito essere colpito dal rifiuto della stazione appaltante di stipulare il contratto previa valutazione discrezionale delle circostanze impeditive previste. In secondo luogo, erroneo era anche il riferimento all’art. 80, comma 5, del Codice di cui al provvedimento impugnato, in quanto l’omissione da parte della ricorrente delle informazioni sui carichi pendenti non poteva avere, né ha avuto, alcuna influenza sulle decisioni della stazione appaltante riguardanti la selezione o l’aggiudicazione o lo stesso regolare e corretto svolgimento della gara. “II. Illegittimità del provvedimento di ANAC per eccesso di potere derivante dall’assenza dei presupposti per l’apertura del procedimento sanzionatorio”. Non era stata disposta alcuna esclusione da parte di Invitalia per grave illecito professionale, che costituiva necessario presupposto, invece, per la stessa segnalazione ad Anac da parte della stazione appaltante. “III. Illegittimità del provvedimento di ANAC per violazione di legge ed eccesso di potere derivante dalla carenza di motivazione.” Per le ragioni sopra esposte, il provvedimento impugnato si palesava motivato in modo carente e lacunoso in ordine alla ritenuta omissione di dichiarare i carichi pendenti, in cui sarebbe incorsa Alma, quale grave illecito professionale. “IV. Illegittimità del provvedimento impugnato per violazione di legge derivante dall’erronea applicazione dell’art. 80, comma 12, Codice dei contratti pubblici”. La norma in rubrica, in quanto afflittiva, è di stretta interpretazione, circoscrive la sua portata alle sole false dichiarazioni ma non anche alla mera omissione di dichiarazione o documentazione, per cui era erroneo anche il richiamo a tale disposizione legislativa. “V. Illegittimità del provvedimento di ANAC per violazione di legge derivante dalla qualificazione in termini di gravità e rilevanza del comportamento tenuto da Alma Cis”. In ordine al rilevato elemento soggettivo della “colpa grave”, la ricorrente osservava che la documentazione di gara, ivi compreso il DGUE, non prevedeva una dichiarazione sui carichi pendenti, limitandosi a richiedere l’accettazione della clausola risolutiva da rendere attraverso l’apposizione di un segno al “sì” posto a fianco della clausola prestampata e dinanzi a tali circostanze fattuali non poteva ascriversi al legale rappresentante di Alma la grave negligenza contestata. Inoltre, nessuna lesione alla leale concorrenza nel mercato degli affidamenti pubblici poteva prospettarsi, dato che Invitalia non aveva escluso il raggruppamento, di cui Alma faceva parte, dalla gara, raggruppamento che, peraltro, in composizione priva di Alma, si era aggiudicato la gara. “VI. Illegittimità e/o nullità del provvedimento impugnato per decadenza di ANAC dal proprio potere sanzionatorio, derivante dalla violazione del termine perentorio di conclusione del procedimento.” Il procedimento, avviato il 25 gennaio 2018, si sarebbe dovuto concludere in 180 giorni e non in 193, come invece avvenuto, in violazione di tale termine da qualificarsi come perentorio, senza che fosse disposta alcuna sospensione dello stesso. Con il decreto cautelare monocratico, la domanda ex art. 56 c.p.a era respinta. Si costituiva in giudizio l’Autorità, che affidava a memoria per la camera di consiglio l’illustrazione delle sue tesi, orientate a rilevare l’infondatezza del ricorso. Con l’ordinanza in epigrafe, questa Sezione accoglieva motivatamente la domanda di sospensione, fissando la data della trattazione di merito. In prossimità di questa, parte ricorrente depositava una memoria illustrativa e la causa era trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 3 luglio 2019. DIRITTO Il Collegio, anche al non più sommario esame della fase cautelare, ritiene di confermare l’orientamento favorevole all’accoglimento del ricorso. Dal contenuto della impugnata delibera Anac, si rileva che la sanzione è stata disposta perché, dalla documentazione acquisita, risultava che, al momento della partecipazione alla procedura di gara, l’amministratore unico di Alma avrebbe omesso di dichiarare la pendenza a proprio carico di procedimenti penali. Sostiene nella delibera l’Autorità che “…Tale omissione, rilevante in base agli obblighi assunti in relazione al Protocollo Quadro di Legalità dianzi citato, secondo l’Agenzia costituiva…causa di esclusione ex art. 80, comma 5, lett. c) del d.lgs. 50/2016. Rispetto all’incidenza di tale profilo, ovvero all’incidenza di simili circostanze ai fini dell’esclusione dell’O.e. dalla gara, si era espressa anche questa Autorità con nota…del 2.8.2017, nella quale era stato indicato all’Agenzia che la fattispecie fosse configurabile quale grave illecito professionale.” In merito, il Collegio non può però non rilevare che nella stessa delibera, nella parte narrativa del procedimento istruttorio, era indicato che in sede di audizione i rappresentanti di Invitalia avevano confermato che non vi era stata nessuna falsa dichiarazione da parte degli operatori economici ma solo una “carenza informativa” e che “…non esiste un provvedimento amministrativo diretto a censurare l’omissione dichiarativa contestata”. Inoltre, risulta anche che i rappresentanti degli operatori economici coinvolti avevano chiarito – circostanza questa non contestata in fatto dall’Autorità – che la stazione appaltante si era limitata a chiedere alla capogruppo mandataria CME l’eventuale disponibilità ad eseguire l’appalto senza la partecipazione di Alma e che, alla disponibilità dimostrata in tal senso, non era seguita alcuna esclusione. Sulla base di tali presupposti, pertanto, il Collegio ritiene di rilevare già una palese contraddizione nella motivazione della delibera impugnata, secondo quanto lamentato in sostanza nel primo e terzo motivo di ricorso, in quanto non si ravvisa in alcun atto del procedimento che la contestata omissione (definita peraltro da Invitalia mera “carenza informativa”), secondo il Protocollo Quadro di Legalità, per l’Agenzia costituiva causa di esclusione ex art. 80, comma 5, lett. c), del d.lgs. 50/2016. Basta infatti richiamare tale ultima normativa per verificare la contraddittorietà delle conclusioni dell’Anac. In essa è indicato che: ”Le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d'appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni, anche riferita a un suo subappaltatore nei casi di cui all'articolo 105, comma 6, qualora:… c) la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l'operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità”. E’ evidente, dal tenore letterale della stessa, che deve essere la stazione appaltante a dimostrare “con mezzi adeguati” la colpevolezza dell’o.e. per aver dato luogo a gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità/affidabilità. Nel caso di specie ciò non risulta in alcun modo, provvedendo la stessa stazione appaltante Invitalia a definire l’omissione in questione una mera carenza informativa e a non escludere dalla gara l’ati che si sarebbe avvalsa del subappalto di Alma o Alma stessa. La circostanza secondo cui l’Autorità, con nota dell’agosto 2017, aveva ritenuto di prospettare a Invitalia che la fattispecie fosse configurabile come grave illecito professionale non rileva, in quanto la norma suddetta lascia alla sola stazione appaltante la valutazione discrezionale - da fondarsi nel caso concreto su “mezzi adeguati” - di inaffidabilità, nella presente fattispecie non operata. Neanche può condividersi la motivazione di cui all’impugnata delibera, laddove risulta richiamata la lett. c bis) del suddetto comma 5, secondo cui: “Le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d'appalto un operatore economico che…abbia omesso le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione.” Nel caso di specie, infatti, la contestata omissione non ha influito sulla “procedura di selezione”, sia perché – come visto – la stazione appaltante non ha disposto alcuna esclusione, limitandosi a chiedere la disponibilità della capogruppo a eseguire i lavori senza il subappalto di Alma, sia perché la stessa clausola di cui al Protocollo Quadro, come sopra riportata in narrativa, si limitava a prevedere una mera facoltà della stazione appaltante che “…si potrà avvalere della clausola risolutiva espressa, di cui all’articolo 1456 c.c., ogni qualvolta nei confronti dell’imprenditore o dei componenti la compagine sociale, o dei dirigenti dell’impresa, sia stata disposta misura cautelare o sia intervenuto rinvio a giudizio per taluno dei delitti di cui agli articoli…”. E’ evidente che il richiamo esplicito alla clausola risolutiva espressa fa chiaramente intendere il riferimento alla fase esecutiva del rapporto contrattuale e non a quelle, precedenti e distinte, di selezione e aggiudicazione. Nemmeno coglie nel segno quindi l’Autorità, laddove afferma che fosse irrilevante la mancata disposizione di un provvedimento di esclusione, potendo lo stesso essere adottato “eventualmente in un momento successivo”, dato che – come visto – la presenza di “carichi pendenti” nei confronti di un rappresentante dell’impresa poteva dare luogo solo a risoluzione contrattuale, ovviamente in corso di rapporto esecutivo, ma non prevedeva alcuna causa di esclusione; né poteva farlo se non in violazione di legge – aggiunge il Collegio – dato che la norma di cui all’art. 80, comma 1, del Codice fa riferimento alla sola “condanna” e non a mero “rinvio a giudizio”. Così pure non dirimente appare la circostanza, sempre richiamata nel provvedimento impugnato, per la quale un’eventuale esclusione non era più necessaria una volta che CME aveva rinunciato al subappalto, confermando tale circostanza invece – per quanto sopra precisato – che l’omissione di Alma non aveva in alcun modo influito ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione, ai sensi del richiamato comma 5, lett. c bis). Il Collegio evidenzia che alla fattispecie non possa trovare applicazione neanche l’art. 80, comma 12, pure invocato dall’Anac, secondo il quale “In caso di presentazione di falsa dichiarazione o falsa documentazione, nelle procedure di gara e negli affidamenti di subappalto, la stazione appaltante ne dà segnalazione all'Autorità che, se ritiene che siano state rese con dolo o colpa grave in considerazione della rilevanza o della gravita' dei fatti oggetto della falsa dichiarazione o della presentazione di falsa documentazione, dispone l'iscrizione nel casellario informatico ai fini dell'esclusione dalle procedure di gara e dagli affidamenti di subappalto ai sensi del comma 1 fino a due anni…”. Come sopra posto in evidenza, infatti, la stazione appaltante non ha qualificato il comportamento dell’operatore economico come falsa dichiarazione ma solo come carenza informativa né sussiste normativa – come rilevato dalla ricorrente – che obbliga il concorrente, ai fini della partecipazione a una gara, a dichiarare la sussistenza di “carichi pendenti”, per cui non poteva essere invocata dall’Autorità neanche la norma generale sui suoi poteri sanzionatori, di cui all’art. 213, comma 13, del Codice. In tal senso, quindi, l’assenza dei presupposti di legge per disporre la sanzione come irrogata consente di assorbire gli ulteriori motivi di ricorso. La peculiarità della fattispecie comporta comunque l’integrale compensazione delle spese di lite, tranne quanto previsto per il contributo unificato, da porsi a carico dell’Anac, ai sensi dell’art. 13, comma 6bis.1, d.p.r. n. 115/2002. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati. Spese compensate, tranne quanto previsto per il contributo unificato, da porsi a carico dell’Anac, ai sensi dell’art. 13, comma 6bis.1, d.p.r. n. 115/2002. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 3 luglio 2019 con l'intervento dei magistrati: Carmine Volpe, Presidente Ivo Correale, Consigliere, Estensore Lucia Maria Brancatelli, Primo Referendario L'ESTENSORE IL PRESIDENTE Ivo Correale Carmine Volpe IL SEGRETARIO
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